Un progetto aperto che mette al centro la difesa del territorio e delle popolazioni. È quello di “Siciliani per la Costituente”, il movimento nato a Pergusa (En) nel corso dell’assemblea presieduta da Antonella Marsala a cui hanno preso parte esponenti politici provenienti da storie diverse e rappresentanti del mondo produttivo e dell’università.
Nel corso dell’assemblea, alla presenza del presidente della Regione siciliana Nello Musumeci, sono state illustrate le linee guida organizzative e annunciate alcune battaglie come quelle per le accise tutte in Sicilia, la benzina a metà prezzo per i siciliani, mediante la modifica dell’art. 36 dello Statuto, ed il riconoscimento della insularità da inserire nella Costituzione (è stata già avviata una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare) con il conseguente abbattimento dei costi per i trasporti di persone e merci.
“Siamo pronti a sostenere tutte le azioni del governo regionale che si muovono sulla direttrice degli interessi dei cittadini anche attraverso una mobilitazione popolare ricollegando i cittadini a quella Autonomia dalla quale si sono sentiti esclusi e traditi”, ha detto Salvatore Grillo, già deputato e fra gli animatori del movimento.
“Riteniamo indispensabile per ottenere questo risultato che nasca una classe politica siciliana che risponda a partiti siciliani – ha affermato Salvo Fleres, già senatore e tra i fondatori di Siciliani per la Costituente -. Occorre, pur non tradendo le origini culturali di ciascuno, uscire dalle gabbie ideologiche e guardare esclusivamente agli interessi concreti della regione. Per troppi anni, a queste latitudini, il finanziamento di un tratto di autostrada è stato sacrificato a vantaggio della quarta corsia delle autostrade del Nord. Ciò è accaduto perché le logiche di governo schiacciano i bisogni dei cittadini, ma non si deve commettere l’errore opposto, cioè immaginare che le colpe siano solo degli altri. Se la burocrazia non funziona – e fa bene Nello Musumeci a denunciare – la colpa non è certo di Roma e Milano, se gli imprenditori locali non fanno rete la colpa non è di altri, ma nostra. Ecco perché le tre parole su cui fondiamo il progetto sono: responsabilità, risorse e perequazione infrastrutturale“.
“C’è in atto in Italia un tentativo pericoloso di neo-centralismo da parte dei partiti tradizionali – ha evidenziato Musumeci – a cui si è aggiunto anche il M5S, a danno delle periferie, degli enti locali e delle Regioni. Questo allontana il cittadino dai processi decisionali e rende ancora più profondo il divario tra paese reale e paese legale. La Sicilia non ha bisogno di elemosine o compassione, ma di vedere riconosciuto ciò che la Costituzione le ha assegnato. Ecco perché serve il rilancio di un nuovo autonomismo che non deve essere concepito in termini di sterile rivendicazionismo o di privilegio, ma come prerogativa dalla quale dobbiamo sapere fare uso e tesoro per recuperare il terreno perduto ed avviare un meccanismo di ricrescita del territorio. Ecco perché sono venuto a salutare questo movimento – ha concluso Musumeci – che punta a rigenerare lo Statuto siciliano e su questo, pur da posizioni diverse, non c’è che da essere d’accordo. In particolare, se tutti gli autonomisti siciliani trovassero le ragioni e la voglia dello stare assieme, riusciremmo ad avere un grande potere di contrattazione con Roma e perfino con l’UE. Spero che questo obiettivo possa essere centrato”.
Certo, non è la prima volta che si cerca di rilanciare il tessuto socioeconomico della Sicilia facendo leva sull’Autonomia e sullo Statuto speciale della Regione siciliana. Facendo un breve excursus storico, la memoria ci porta al primo presidente della Regione Giuseppe Alessi, grande difensore dell’Autonomia e dello Statuto speciale siciliano che dopo lo scippo dell’Alta Corte ai siciliani, criticò la sentenza della Corte Costituzionale che faceva proprie le competenze dell’Alta Corte per la Sicilia. Per non dimenticare i tre governi regionali di Silvio Milazzo, dall’ottobre 1958 al febbraio del 1960, come si diceva allora, quell’essere insieme di comunisti e fascisti che diede vita al Milazzismo nel “nome” della Sicilia.
Negli anni passati, abbiamo assistito a riflussi autonomisti da parte di alcuni politici che avevano esaurito un ruolo di primo piano nei rispettivi partiti di appartenenza come l’ex presidente della Provincia e vice sindaco di Palermo, Ernesto Di Fresco, che dopo essere uscito dalla Dc, nel 1984 fondò l’Ups (Unione popolare siciliana), sfiorando nel 1991, la sua elezione all’Ars, ottenendo il suo partito 16.500 voti, (lo 0,6%). Ed ancora, prima di lui tentò ancora la via autonomista l’ex repubblicano Leopoldo Pullara, nato a Caltagirone, ex capogruppo repubblicano all’Assemblea regionale ed ex vicesindaco e assessore al Turismo al Comune di Palermo che negli anni Settanta, ripristinò le grandi celebrazioni del Festino di Santa Rosalia, fondando il “Movimento di azione per l’autonomia” (operazione politica sponsorizzata sottotraccia da una parte del Pci siciliano retto da Luigi Colaianni) che si rilevò un vero e proprio fuoco fatuo.
In tempi più recenti, sono in molti a ricordare l’ex democristiano Raffaele Lombardo, quando, a metà del 2000, lasciò l’Udc per fondare il Movimento per l’Autonomia, successivamente eletto presidente della Regione e “fautore delle geometrie variabili” con modesti risultati ottenuti. Non è andata meglio al “Grande Sud”, fondato da Gianfranco Miccichè, partito nato in contrapposizione alla Lega Nord ma poco presente a livello nazionale. In sintesi, tutti animati da “buoni propositi” per rilanciare il tessuto socioeconomico della Sicilia ma con risultati poco incoraggianti.
Alle passate regionali siciliane ha esordito “Siciliani Liberi” (con un modesto risultato elettorale), il nuovo movimento politico indipendentista guidato da Massimo Costa, nato dopo la sua fuoriuscita da “Sicilia Nazione” creatura politica di Gaetano Armao (oggi vice presidente della Regione), già assessore regionale alla Presidenza (57esimo Governo regionale), ai Beni culturali e dell’identità siciliana e all’Economia.
Nel contesto contemporaneo sono in molti a sostenere che la Sicilia non abbia ottenuto alcun reale vantaggio nei 158 anni di unità d’Italia mentre il gap con il Settentrione si è fatto progressivamente più ampio, nonostante il grande potenziale di risorse che vanta l’Isola. Oggi è facile cadere nel vittimismo facendo ricadere le colpe del mancato sviluppo a coloro che rappresentano la Sicilia nelle istituzioni ma le responsabilità vanno distribuite “equamente” fra tutti: gli “ascari” che, una volta eletti alla Camera, al Senato e alla Regione, hanno “abdicato” al ruolo di difensori delle legittime istanze che provengono dal territorio, a coloro che agitano lo Statuto speciale della Regione per fini personali. Ad entrambe le “categorie” di politici basterebbe ricordare che se le nuove generazioni sono costrette ad emigrare per trovare un lavoro, la nostra tanto amata quanto martoriata isola non avrà un futuro.